Oggi usciremo un po' fuori dagli schemi e vi proporremo un libro che si allontana parecchio dalle letture che vi abbiamo consigliato finora. Questa volta si tratta di Il cielo è rosso di Giuseppe Berto edito da Rizzoli.
Questo libro, il primo libro per l'autore e scritto durante la sua prigionia in un campo di concentramento in Texas, era intitolato inizialmente La perduta gente, uscì per la prima volta nel 1947 dopo che Giovanni Comiso lo consigliò e fu editato dalla Longanesi. Ottenne immediatamente l'approvazione di alcuni critici, che vedevano risorgere il romanzo italiano e la disapprovazione di altri, che ne vedevano una brutta copia dello stile di Hemingway. Questo comunque non tolse il fatto che il romanzo ebbe un grandissimo successo, tanto da fargli valere, nel 1948, il Primo (e ultimo) Premio Letterario Firenze.
Titolo: Il cielo è rosso Link Amazon
Autore: Giuseppe Berto
Editore: Rizzoli
Data Uscita: Settembre 1969
Pagine: 402
Genere: Narrativa italiana
Categoria: Storico
Narrazione: Terza persona, pov dell'autore
Finale: conclusivo
Nel 1944 Berto è «prigioniero di guerra» a Hereford nel Texas, in uno di quei campi americani in cui sono reclusi tutti quelli che si rifiutano di dichiararsi «prigionieri collaboratori». Tra coloro che si aggirano nelle baracche a Hereford figurano futuri rinomati scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati, che affascina non poco Berto con le sue letture di Faulkner, Hemingway e Steinbeck, e pittori come Alberto Burri. Nel campo nascono, e circolano in copia unica, varie riviste letterarie. Al principio dell'estate '44, mosso da «un senso di acuta responsabilità» per la parte di colpa da lui avuta nella catastrofe della guerra, Berto decide di scrivere un romanzo intitolato "La perduta gente". Rientrato in Italia nel febbraio del '46, sottopone il manoscritto a Giovanni Comisso che, entusiasta, lo spedisce subito a Leo Longanesi, accompagnandolo con una lettera in cui non esita ad affermare che il romanzo «rappresenta una svolta nella letteratura italiana». L'opera esce da Longanesi negli ultimissimi giorni del 1946 con il titolo "Il cielo è rosso", un'espressione che l'editore prende dai Vangeli. "Il cielo è rosso" racconta le peripezie di quattro ragazzi, tra i quindici e i diciassette anni, in una città distrutta dai bombardamenti alleati. Quattro ragazzi resi orfani dalle traversie della vita e dalla violenza del conflitto. Carla, figlia di una serva, e Giulia, figlia di una prostituta, sono cugine, cresciute nella stessa casa. Giulia è timida, di salute cagionevole. Carla al contrario è disinvolta, sicura di sé, anche se di «umori volubili, a volte perversi altre volte malinconici» (Domenico Scarpa). Si prostituisce per vivere, ed è innamorata di Tullio, il più adulto con i suoi diciassette anni, a capo di una banda di ragazzi dedita a furti e traffici vari. Una notte Tullio incontra Daniele, appena fuggito da un seminario di Roma e senza più un luogo dove andare, dopo che i bombardamenti hanno ucciso i genitori e demolito la loro casa. I quattro cercano di sfuggire alla miseria, alla fame e alla paura, ma, come tutti coloro cui è toccata in sorte «una parte del male universale», sanno di non potere «più essere gli stessi di prima», poiché si sono «smarriti nella grande guerra» senza più alcuna possibilità di ritrovarsi.
"E l'uomo che guardava verso la donna vide d'improvviso la figura di lei farsi scura contro la luce che stava al di fuori. Allora si precipitò alla finestra. Scorse la città illuminata, e nel cielo un grappolo di luci bianche, e poi un altro grappolo che si venne accendendo. Dei motori ronzavano molto in alto. Da un tetto dalle parti di San Sebastiano una mitragliera cominciò a lanciare dei proiettili rossi verso i grappoli di luce. I proiettili salivano uno dopo l'altro, lenti pareva, sempre più lenti, e morivano con un piccolo scoppio."
Inizialmente scrivevo le recensioni di pancia, ma ultimamente ho riscoperto il sapore di far "mantecare" il libro almeno dodici ore e riflettere attentamente su quanto letto e sicuramente con "Il cielo è rosso" questa cosa andava fatta.
Non leggevo libri ambientati durante la seconda guerra mondiale da tantissimi anni, ricordo che in adolescenza ne leggevo un'infinità e sono del parere che questo libro andrebbe fatto leggere agli adolescenti di oggi per fargli capire cosa significa il benessere in cui vivono adesso e farli mettere a confronto con la miseria in cui vivevano i loro coetanei durante il dopoguerra.
"Essi camminavano al centro della strada, per evitare il pericolo dei rottami che ancora potevano cadere dall'altro. La rovina si mostrava sempre più evidente. In certe case pezzi interi di muro erano crollati, e in certe altre il tetto aveva ceduto e attraverso le finestre in alto si vedeva il cielo rossastro dell'altra parte. Era là intorno che la gente si affaccendava di più a tirar fuori la roba.
Essi camminavano in silenzio, ciascuno con pensieri differenti. Tullio avrebbe voluto esser solo e libero, e faceva ogni cosa per mettere in evidenza il suo malumore. Forse sperava che sarebbero tornate indietro, se egli faceva così. Carla ne provava amarezza e dispetto, e si era chiusa, ma non sarebbe tornata indietro. Giulia capiva di essere esclusa da loro. Erano insieme, e non uniti, e camminavano in silenzio."
I quattro ragazzini protagonisti, Carla, Giulia, Tullio e Daniele si ritrovano a dover restare a galla e a prendersi cura uno dell'altro nonostante la loro giovane età e a dover confrontarsi con adulti che, invece, sono diventati apatici difronte alla distruzione della guerra. Tra di loro ci sono Tullio e Carla che sono gli adulti, quelli che per amore degli altri arrivano a sacrificarsi, mentre Giulia e Daniele sono i più deboli, ma che comunque fanno di tutto per rendersi utili.
Si muovono prima tra distruzione, fame, paure, ansie, ricerca di una casa dove ripararsi durante la guerra e poi in un momento in cui va ricostruito tutto.
"E ogni giorno molti si perdevano in quel loro cammino attraverso l'inverno. Accadeva specialmente ai vecchi e ai bambini. Diventavano deboli e spaventosamente magri, e poi una malattia qualsiasi li portava via. Nessuno pensava a curarli, perché non c'erano abbastanza medicine. Del resto, anche avendo medicine, ci sarebbe stato poco da fare. Erano malattie qualsiasi, che molte volte non avevano neanche un nome.
Chi moriva non lasciava un grande vuoto. La gente pareva essersi rassegnata all'idea della morte. Presto o tardi sarebbero morti tutti, così diceva la gente. Quelli che si vedevano passare verso il cimitero erano soltanto alcuni che andavano avanti."
Il libro è molto profondo, ti trasporta durante la lettura, tanto da non riuscire a smettere e a cercare di capire che fine potrà mai esserci per loro, ti fa affezionare ai protagonisti, ma restando consapevole del contorno che li circonda.
Una guerra fatta da adulti dove in realtà sono i giovani a subire e a combattere.
Consiglio questo libro per chi vuole una lettura più impegnata, sicuramente non come lettura da ombrellone.
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